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lunedì 3 Novembre 2025

Gerusalemme: Manifestazione Epocale e Tensioni in Israele

La capitale israeliana è stata teatro di una manifestazione di proporzioni epocali, un’onda di oltre 200.000 persone, prevalentemente ebrei ultraortodossi (Haredim), che si sono riversate nelle strade per protestare contro la nuova legge che impone la leva obbligatoria nell’esercito israeliano.
L’evento, etichettato come “Marcia di un milione di uomini” da alcune fonti, ha rappresentato una sfida profonda all’autorità governativa e ha evidenziato una frattura sempre più ampia all’interno della società israeliana.

La tragedia di un quindicenne, precipitato da un cantiere edile durante la protesta, ha segnato un punto di svolta, conducendo gli organizzatori a dichiarare la fine del raduno e a chiedere ai partecipanti di disperdersi.

Un evento doloroso che, paradossalmente, ha amplificato la risonanza della protesta stessa.
Le manifestazioni, pur avendo un nucleo pacifico e improntato alla preghiera, si sono sfociate in episodi di violenza e disordini.

Scontri tra manifestanti e cittadini hanno portato ad aggressioni nei confronti di giornalisti, con lanci di sassi e bottiglie, e hanno causato feriti tra le forze dell’ordine.

Il caos generato ha paralizzato il traffico a Gerusalemme e nelle aree limitrofe, testimoniando l’impatto concreto della protesta sulla vita quotidiana.
L’eco della protesta risuona ben oltre la mera opposizione alla leva obbligatoria.

Gli striscioni esposti rivelano una complessa rete di convinzioni religiose, identitarie e politiche.
L’appello a morire per la fede, espresso tramite i tradizionali scialli *tallit* trasformati in cartelli, incarna un radicalismo religioso che rifiuta la compromissione e la coesistenza con i valori secolari.

La foto di Ariel Shamai, uno studente yeshiva detenuto per insubordinazione, è diventata un simbolo della repressione percepita nei confronti della comunità Haredi.

L’affermazione provocatoria “Israele è Stalin” suggerisce una profonda sfiducia verso le istituzioni governative, accusate di autoritarismo e di violazione dei diritti religiosi.

Questa frase, sebbene non condivisa da tutti i partecipanti, esprime il sentimento di alienazione e di marginalizzazione che serpeggia in alcuni settori della comunità ultraortodossa.

La protesta non è solo un conflitto su un atto legislativo, ma è una manifestazione di un profondo dibattito sul futuro di Israele: uno stato ebraico moderno e democratico, o un’entità dominata dalla legge religiosa? La risposta a questa domanda determinerà il destino del paese e la coesione sociale.
La tragedia del giovane e la radicalità delle espressioni emerse durante la manifestazione pongono domande urgenti sulla gestione della diversità religiosa e sull’equilibrio tra diritti individuali e valori collettivi in una nazione complessa come Israele.

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