La narrazione comune che lega la strage di via D’Amelio alla presunta volontà di insabbiare un’inchiesta sugli appalti pubblici appare una semplificazione riduttiva, un’eccessiva approssimazione che offusca la portata storica e la complessità delle due stragi.
Ridurre la figura di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, simboli di un’eroica lotta contro il potere mafioso, a meri ostacoli di un’indagine, equivale a sminuire il loro contributo fondamentale alla coscienza civile e alla giustizia.
Piuttosto, è più appropriato interpretare l’assassinio di Falcone e Borsellino come l’esecuzione di una vendetta postuma, una risposta brutale e calcolata di Cosa Nostra contro coloro che avevano scalfito profondamente la sua struttura e minato la sua impunità.
In particolare, l’eliminazione di Borsellino, avvenuta a distanza di due mesi da quella di Falcone, non può essere isolata: si inserisce in un disegno più ampio, mirato a eliminare testimoni potenziali e a paralizzare l’azione della magistratura.
Come ha testimoniato l’ex procuratore Giancarlo Caselli, l’interesse di Cosa Nostra poteva essere quello di impedire a Borsellino di condividere con i colleghi di Caltanissetta, qualora fosse stato chiamato a farlo, informazioni cruciali relative agli eventi che avevano portato alla strage di Capaci.
L’affermazione di Caselli sottolinea la necessità di una visione più articolata e comprensiva degli eventi, rifiutando l’utilizzo strumentale di una tesi a discapito di altre, spesso più corrette.
È fondamentale riconoscere la complessità delle dinamiche in gioco, che andavano ben al di là della presunta inchiesta sugli appalti.
Ripercorrendo gli anni successivi alle stragi, Caselli ha voluto anche evidenziare i significativi successi ottenuti dalla magistratura palermitana.
La reazione dello Stato, immediatamente successiva agli attentati del ’92, si tradusse in un’impennata di collaborazioni con la giustizia, fenomeno che testimonia un profondo cambiamento nell’equilibrio di potere politico e sociale.
La scelta di collaborare con la giustizia da parte dei mafiosi riflette una nuova fiducia, seppur fragile, nello Stato.
Non va dimenticato, inoltre, il duro colpo inferto all’ala militare di Cosa Nostra, concretizzato attraverso un numero senza precedenti di condanne all’ergastolo e lunghe pene detentive, e le indagini che hanno messo a luce i tenebrosi rapporti tra settori dello Stato e boss mafiosi.
In conclusione, Caselli ha rivendicato con forza i meriti e i successi della Procura di Palermo, ricordando l’importanza di un rispetto autentico per i magistrati che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro la mafia.
Criticare senza fondamento, diffondere insinuazioni e “spargere fango” non è un compito appropriato per una commissione antimafia, il cui ruolo è quello di investigare, analizzare e proporre soluzioni, non di alimentare polemiche infondate.
La memoria di Falcone e Borsellino merita una riflessione seria e approfondita, che tenga conto della complessità storica e del coraggio di coloro che si sono opposti alla mafia.