Sabato scorso, il gruppo dell’Ortles-Cevedale, in Alto Adige, è stato teatro di una tragedia che ha visto la perdita di cinque vite umane, alpinisti tedeschi travolti da una valanga sulla parete nord della Cima Vertana.
Le indagini, condotte dalla Guardia di Finanza, si concentrano ora sulla ricostruzione precisa degli eventi che hanno portato a questo drammatico evento, un monito severo sui pericoli insiti nell’ambiente montano.
La slavina, manifestatasi intorno alle 16:00, ha interessato una porzione di versante a circa 3.545 metri di altitudine, un settore cruciale per l’ascensione alla vetta.
La massa di neve, caratterizzata da un fronte d’impatto di circa 30 metri e un’estensione di 200 metri, ha dimostrato una potenza distruttiva ineluttabile, costringendo i cinque alpinisti a un destino fatale.
L’allarme è stato lanciato da altri due alpinisti, fortunati a essere minimamente coinvolti, la cui testimonianza si rivela fondamentale per chiarire la sequenza degli eventi.
Le operazioni di soccorso, rese estremamente complesse dalle condizioni meteorologiche avverse e dalla ripidezza del terreno, hanno portato al ritrovamento di tre corpi ancora sabato, mentre i restanti due sono stati recuperati solo nella mattinata seguente.
Le vittime, originari della Baviera, includono Steffen Wiedemann, 58 anni, accompagnato dal figlio Beat, 21 anni, e dalla fidanzata di quest’ultimo, Selina Schlitzer, entrambi coetanei.
A completare il gruppo c’erano Matthias Löhning, 46 anni, e la figlia Frieda, 17 anni.
Descritto come un gruppo di alpinisti esperti e provvisti di attrezzatura adeguata, il loro tragico epilogo solleva interrogativi sulle dinamiche del rischio in alta quota.
La parete nord della Cima Vertana, pur non essendo considerata una via di arrampicata particolarmente complessa, incarna la realtà che in montagna non esiste una condizione di sicurezza assoluta.
L’ipotesi più accreditata, al momento, indica che il gruppo avesse pianificato di raggiungere la vetta al crepuscolo, per intraprendere la discesa al buio, utilizzando lampade frontali.
Tuttavia, un accumulo anomalo di neve, accentuato dai forti venti in quota, ha creato una condizione di instabilità che ha innescato la slavina.
L’analisi dei dati meteorologici e la valutazione della stabilità del manto nevoso, condotte congiuntamente dagli esperti della Protezione Civile e degli alpinisti locali, si preannunciano cruciali per comprendere appieno i fattori che hanno contribuito a questo disastro e per migliorare le misure di prevenzione in futuro.
L’evento sottolinea la necessità di una continua formazione e di una rigorosa adesione alle regole di sicurezza in montagna, in un ambiente che, per sua natura, è imprevedibile e potenzialmente letale.








