L’incertezza geopolitica, incarnata dalla potenziale reimposizione di dazi protezionistici da parte dell’amministrazione Trump, proietta un’ombra significativa sull’economia italiana, in particolare sul suo tessuto produttivo orientato all’export.
Secondo analisi della Cgia, basate su dati Ocse, uno scenario che riproducesse i dazi attuali causerebbe una perdita di 3,5 miliardi di euro in esportazioni.
Un innalzamento delle tariffe doganali al 20% amplierebbe questo danno a 12 miliardi di euro, una cifra che solleva preoccupazioni strutturali per la resilienza del sistema economico nazionale.
Il rapporto commerciale tra Italia e Stati Uniti è storicamente solido, con un flusso di beni dal valore di 64,7 miliardi di euro nel 2024.
Questa forte dipendenza dall’export verso il mercato americano pone l’Italia di fronte a interrogativi cruciali.
La domanda centrale è se i consumatori e le imprese statunitensi, di fronte a beni italiani gravati da dazi, opteranno per alternative interne o provenienti da altre nazioni, o se la preferenza per il “Made in Italy”, spesso associato a qualità e tradizione, resisterà all’aumento dei costi.
La Banca d’Italia offre una prospettiva più articolata, sottolineando che la maggior parte dell’export italiano verso gli Stati Uniti (43% prodotti di alta qualità e ulteriore 49% di qualità media) è indirizzata a segmenti di acquirenti ad alto reddito.
Questo suggerisce una potenziale capacità di assorbimento degli aumenti di prezzo da parte di questi consumatori, almeno in una prima fase.
Tuttavia, la questione dell’impatto sui margini di profitto delle imprese italiane rimane critica.
La Banca d’Italia ipotizza che una riduzione della domanda statunitense, derivante dall’aumento dei prezzi, potrebbe essere mitigata attraverso una diminuzione dei margini operativi delle aziende esportatrici.
Questa strategia, pur permettendo di mantenere una certa quota di mercato, potrebbe erodere la redditività a lungo termine.
Un elemento di attenuazione risiede nella relativa incidenza del mercato statunitense nel fatturato totale delle imprese italiane (5,5% circa).
Il margine operativo lordo, seppur più rilevante (10% dei ricavi), suggerisce che, nonostante l’importanza strategica del mercato americano, una sua chiusura o contrazione non determinerebbe un collasso del sistema economico nazionale, ma piuttosto una riallocazione delle risorse verso altre destinazioni.
È fondamentale, pertanto, che il governo italiano monitori attentamente l’evoluzione della situazione, valutando attivamente misure di supporto alle imprese esportatrici e promuovendo la diversificazione dei mercati di riferimento, al fine di ridurre la vulnerabilità dell’economia italiana a shock esterni di natura commerciale.
L’analisi delle dinamiche di prezzo, la valutazione della reazione dei consumatori statunitensi e l’incentivazione dell’innovazione e della competitività rappresentano priorità imprescindibili per garantire la stabilità e la crescita sostenibile del sistema economico italiano.