“Aragoste a Manhattan” (The Grill), opera del regista Alonso Ruizpalacios, si presenta come un affresco spietato e in bianco e nero, una discesa nell’underground pulsante di un iconico ristorante newyorkese, il The Grill, situato nel cuore di Times Square. Il film, ispirato all’opera teatrale “The Kitchen” di Arnold Wesker, non è una celebrazione della gastronomia, bensì una feroce critica al sistema capitalistico e alla precarietà del lavoro, avvolta in un’atmosfera claustrofobica e tesa.Il dramma si sviluppa nell’arco di una sola giornata, un turno infernale scandito dal ritmo frenetico della produzione, dove decine di piatti devono essere sfornati per una clientela prevalentemente turistica. Ruizpalacios, con una regia asciutta e precisa, demolisce l’immaginario patinato del food-porn, rivelando la realtà cruda e spesso disumana che si cela dietro la preparazione del cibo. L’assenza improvvisa di denaro dalla cassa innesca una spirale di interrogatori e sospetti, mettendo a nudo le fragilità di un gruppo di lavoratori, perlopiù immigrati clandestini, costretti a una lotta quotidiana per la sopravvivenza e la difesa del proprio posto di lavoro.Pedro (interpretato da Raúl Briones), un giovane cuoco messicano, sognatore e ribelle, si trova al centro di questo vortice. Il suo amore per Julia (Rooney Mara), una cameriera americana, è ostacolato dalla sua condizione di immigrato senza documenti, un simbolo tangibile delle barriere che il sistema erige tra le persone. Rashid (Oded Fehr), il proprietario del locale, promette aiuto, ma la sua promessa si rivela un miraggio quando Pedro viene sospettato del furto, portando al blocco della produzione e all’esplosione della tensione.L’esperienza sul set è stata intensa e formativa. Rooney Mara ha sottolineato come Ruizpalacios abbia trasformato il lavoro preparatorio in un vero e proprio “campo di addestramento” per chef e camerieri, immergendo gli attori nella routine e nelle dinamiche di una cucina professionale. Il regista, a sua volta, ha voluto chiarire che, pur affrontando il tema dell’immigrazione, “Aragoste a Manhattan” è più profondamente una storia sulla ricerca di identità, comunità e solidarietà in un ambiente lavorativo spietato.L’ispirazione del regista affonda le sue radici nell’esperienza personale di lavoro come lavapiatti e cameriere al Rainforest Cafe a Londra, un’esperienza che lo ha portato alla scoperta della commedia di Wesker. La lettura di quell’opera, unita all’esperienza diretta del lavoro in una cucina industriale, ha cristallizzato la sua visione del film, rivelando le complesse gerarchie e il sistema di caste che regolano il funzionamento di una cucina professionale, paragonabile all’organizzazione di un equipaggio navale, dove ogni ruolo è fondamentale e la disciplina è d’obbligo. “Aragoste a Manhattan” è quindi un’indagine acuta e potente sulle condizioni di lavoro, l’alienazione e la dignità umana, illuminata da uno sguardo sensibile e originale.