La comunità di Favara è ancora scossa dal tragico evento del primo ottobre, quando Marianna Bello, una donna di trentotto anni, perse la vita a seguito dell’improvvisa e devastante alluvione.
Il ritrovamento del suo corpo, avvenuto dopo quasi venti giorni di ricerche angoscianti, ha alimentato un crescente sentimento di rabbia e di ricerca di responsabilità, sfociato in un atto formale: un esposto presentato alla Procura della Repubblica di Agrigento da parte dei familiari della vittima, assistiti dall’avvocato Salvatore Cusumano.
L’atto legale mira a far luce sulle dinamiche che hanno condotto alla tragedia, ipotizzando potenziali profili di responsabilità penale per negligenza e omissione.
Al centro dell’indagine richiesta vi è l’accusa di omicidio colposo, rivolta a figure chiave che, in ragione delle loro funzioni istituzionali, avrebbero dovuto garantire la sicurezza della popolazione.
In particolare, l’attenzione si concentra sull’operato di Salvatore Cocina, dirigente generale del dipartimento regionale Protezione Civile, il cui ruolo cruciale riguarda la corretta e tempestiva emissione delle allerte meteo.
Si intende verificare se le procedure seguite siano state adeguate, se i dati raccolti abbiano permesso una valutazione accurata del rischio e, soprattutto, se la comunicazione al pubblico sia stata sufficientemente chiara ed efficace per permettere alle persone di prendere precauzioni adeguate.
Un’allerta inadeguata, o tardiva, può avere conseguenze devastanti, trasformando un fenomeno meteorologico potenzialmente gestibile in una catastrofe.
Parallelamente, l’esposto mira a determinare il grado di responsabilità del sindaco di Favara, Antonio Palumbo, e dei dirigenti comunali competenti per le aree di Lavori Pubblici, Urbanistica, Edilizia e Patrimonio.
L’accusa si concentra sull’omessa manutenzione e custodia del convogliatore idraulico, una struttura progettata per gestire i flussi d’acqua e prevenire allagamenti.
La sua inadeguata manutenzione, o la sua obsolescenza strutturale, potrebbe aver contribuito a esacerbare la violenza dell’alluvione, trasformandolo in un canale di pericolo che ha tragicamente inghiottito Marianna Bello.
L’inchiesta, pertanto, si prefigge di ricostruire la sequenza degli eventi, analizzando non solo l’immediato antecedente alla tragedia – l’allerta meteo – ma anche i fattori strutturali che hanno contribuito a rendere la comunità vulnerabile: la progettazione e la manutenzione delle infrastrutture idrauliche, la pianificazione urbanistica del territorio e la gestione del rischio idrogeologico.
La ricerca della verità non è solo un atto di giustizia nei confronti della famiglia Bello, ma anche un imperativo per migliorare la sicurezza del territorio e prevenire che simili tragedie si ripetano in futuro, illuminando i limiti di un sistema di protezione civile che, in questo caso, sembra aver fallito.







