sabato 2 Agosto 2025
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Trento

Sovraffollamento a Trento: Carcere al collasso, diritti negati.

La situazione critica della casa circondariale di Trento, con una popolazione detenuta che sfiora i 377 individui, superando di quasi il 57% il numero previsto di 240, solleva interrogativi urgenti sulla gestione della giustizia penale e sul rispetto dei diritti fondamentali.

Questo sovraffollamento, denunciato dal Garante dei Detenuti Giovanni Maria Pavarin, configura una palese violazione del patto tra Provincia e Stato, un campanello d’allarme che non può essere ignorato.

La questione non è meramente numerica, ma rivela una profonda disfunzione del sistema.

L’analisi di Pavarin trascende la semplice constatazione di un dato statistico, ponendo l’accento su un circolo vizioso insidioso.

L’inasprimento delle pene, purtroppo spesso accompagnato da un incremento dei reati, genera un’impennata del numero di detenuti, senza offrire adeguati percorsi di reinserimento sociale.
Questo meccanismo, inevitabile dal punto di vista logico, trasforma le carceri in veri e propri “pozzi neri” che inghiottono individui, perpetuando un ciclo di marginalità e sofferenza.

Anche un investimento massiccio in nuovi posti letto, pur auspicabile, risulterebbe effimero, destinato rapidamente a essere saturato, poiché il sistema stesso tende all’espansione della popolazione carceraria.

La realtà di Trento, pur presentando elementi di relativa tranquillità, con un numero contenuto di tentativi di suicidio e atti di violenza, non può celare le criticità strutturali del sistema.
Un miglioramento concreto richiederebbe un intervento multidimensionale, che agisca su diversi fronti: dall’ottimizzazione del vitto alla promozione di attività lavorative significative, passando per l’ampliamento delle misure alternative alla detenzione e per una maggiore trasparenza nell’accesso alle informazioni e ai diritti per i detenuti.

Particolarmente rilevante è la questione dell’assistenza agli stranieri, che a Trento rappresentano una percentuale superiore alla media nazionale (oltre il 50%), evidenziando la necessità di interventi mirati per superare barriere linguistiche e culturali.
Il piano carceri del Governo, concepito come una risposta a queste problematiche, appare tuttavia carente e inefficace, dilazionato in un iter burocratico che lo relega a un futuro incerto.
L’istituzione di una commissione, prevista per i prossimi quattro mesi, ne compromette l’effettiva implementazione, creando un’illusione di progresso che rischia di mascherare la gravità della situazione.

È imperativo abbandonare approcci superficiali e adottare soluzioni concrete, basate su un’analisi approfondita delle cause del sovraffollamento e sulla promozione di un modello di giustizia penale più umano, riabilitativo e orientato alla reintegrazione sociale.
La dignità umana, anche dietro le sbarre, non può essere un concetto astratto, ma un principio guida per ogni azione politica e amministrativa.

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