L’ombra del doping, come un’eco persistente, sembra destinata a accompagnare Jannik Sinner nel corso della sua carriera, un parallelo che Novak Djokovic, con una metafora evocativa, ha accostato alla sua stessa esperienza legata al rifiuto vaccinale.
In un’intervista esclusiva a Piers Morgan Uncensored, Djokovic ha tracciato un’analogia tra l’accordo raggiunto con la Wada che ha comportato la sospensione temporanea di Sinner dall’attività agonistica per tre mesi all’inizio del 2025 e la controversia che lo ha visto escluso dall’Australian Open 2022 a causa della sua posizione contraria alla vaccinazione.
Questa similitudine, apparentemente diretta a lenire le critiche e a offrire una prospettiva di comprensione per Sinner, cela in realtà una riflessione più ampia sul delicato rapporto tra sport, regole, salute e libertà individuale.
Il caso Clostebol, la sostanza non specificata trovata durante un controllo antidoping e per la cui gestione si è attivata la Wada, solleva interrogativi complessi sulla natura del doping, sulle sue manifestazioni, sulla difficoltà di definizione dei confini tra terapie mediche e vantaggi proibiti, e sulla responsabilità dei tennisti nel navigare questo intricato panorama.
L’accordo con la Wada, che ha eluso una sanzione più severa per Sinner, suggerisce una negoziazione pragmatica, un tentativo di minimizzare i danni reputazionali e di preservare la possibilità per l’azzurro di tornare a competere.
Tale compromesso, tuttavia, inevitabilmente alimenta il dibattito sulla trasparenza e sull’equità delle procedure antidoping, soprattutto quando coinvolgono atleti di spicco.
L’accostamento con l’esperienza di Djokovic è tutt’altro che casuale.
Entrambi gli atleti si sono trovati a fronteggiare situazioni estreme che hanno messo alla prova i loro diritti, le loro convinzioni e la loro immagine pubblica.
Il rifiuto di Djokovic di vaccinarsi contro il Covid-19 ha scatenato un acceso confronto tra la tutela della salute pubblica e la libertà personale, generando divisioni profonde nel mondo dello sport e nella società civile.
Il parallelo tra i due casi evidenzia come il concetto di “sanzione” e di “punizione” possa essere interpretato in modi diversi a seconda del contesto e delle implicazioni coinvolte.
Mentre la sospensione di Sinner è legata a una presunta violazione delle regole antidoping, l’esclusione di Djokovic era motivata da restrizioni sanitarie legate alla pandemia.
In entrambi gli scenari, la questione centrale rimane la delicatezza dell’equilibrio tra l’applicazione rigorosa delle normative e la necessità di comprendere le circostanze individuali, le possibili interpretazioni delle regole e l’impatto emotivo e psicologico che tali decisioni possono avere sugli atleti.
La dichiarazione di Djokovic, quindi, si configura non solo come un atto di solidarietà verso Sinner, ma anche come un invito a una riflessione più ampia sulla complessità del mondo dello sport e sulla responsabilità di tutti gli attori coinvolti.







