Il Festival di Cannes si appresta al suo atto conclusivo, un momento cruciale che celebra la diversità narrativa e l’audacia autoriale. Oltre alla competizione per la prestigiosa Palma d’Oro, si distingue il panorama di “Un Certain Regard”, vetrina per opere italiane di notevole spessore, con “Le città di pianura” di Francesco Sossai, un ritratto vivido e intimista del Nordest italiano.L’attenzione del pubblico e dei fotografi è calamitata da Paul Mescal, interprete emergente capace di incarnare ruoli complessi e carismatici. Il film “The History of Sound”, diretto dal sudafricano Oliver Hermanus, lo vede protagonista, affiancato da Josh O’Connor, in una struggente storia d’amore tra due giovani musicisti folk in un’America rurale sconvolta dai primi bagliori della Grande Guerra. La colonna sonora, l’eco di un’epoca e il catalizzatore di emozioni represse, assume un significato simbolico profondo.Il panorama in concorso si arricchisce di opere che affrontano tematiche dolorose e universali. Carla Simon, già acclamata con “Alcarràs”, in “Romeria” ci conduce in un viaggio emotivo in Galizia, dove una donna ripercorre le orme dei genitori scomparsi, vittime di AIDS, confrontandosi con un passato traumatico e un’eredità complessa. Joachim Trier, con “Sentimental Value”, esplora le dinamiche familiari disfunzionali attraverso le lenti di un padre attore e una figlia artista, un rapporto intriso di ambizione, rimpianto e un desiderio inappagato di riconoscimento. La proposta di un film sulla loro storia condivisa si rivela un catalizzatore di verità nascoste e conflitti irrisolti, rivelando la fragilità umana dietro le maschere che indossiamo.”Le città di pianura” di Francesco Sossai, invece, si configura come un’opera di osservazione acuta e malinconica. Attraverso un flusso narrativo on the road, il film cattura l’atmosfera decadente di bar e luoghi di passaggio nel Nordest italiano. Sossai, con un approccio decisamente anti-convenzionale, decostruisce il mito di una regione spesso idealizzata, rivelando le sue zone d’ombra e il senso di spaesamento che permea l’esistenza dei suoi abitanti. I due protagonisti, interpretati da Pierpaolo Capovilla e Sergio Romano, sono figure marginali, “balordi perditempo” che incarnano una categoria sociale raramente rappresentata nel cinema. L’incontro con un giovane studente universitario, figura simbolo dell’ansia prestazionale, crea un contrasto significativo, sottolineando la necessità di abbandonare le convenzioni e abbracciare la lentezza del tempo.La giornata è segnata da eventi speciali che amplificano il significato del festival. L’inattesa apparizione di Jafar Panahi, regista iraniano perseguitato dal regime, offre un’occasione per riflettere sulla censura e la repressione artistica. Il suo film, “Un simple accident”, è un atto di coraggio, una denuncia del potere e una testimonianza della resilienza umana. Panahi, con la sua presenza, celebra la forza degli iraniani che, con gesti sovversivi quotidiani, sfidano l’autorità.La presenza di Jodie Foster, icona del cinema americano, con “Vie Privéee” di Rebecca Zlotowski, aggiunge ulteriore prestigio all’evento. L’attrice, che ha calcato la Croisette fin da adolescente, interpreta un personaggio complesso e sfaccettato, una psichiatra che si trasforma in investigatrice. Foster, con la sua esperienza e la sua libertà creativa, affronta con leggerezza il tema dell’inclusione, criticando apertamente le politiche restrittive dell’amministrazione Trump. L’attrice sottolinea l’importanza di raccontare tutte le storie, riconoscendo che la diversità è un valore aggiunto per la società. Il festival si conferma dunque un luogo di incontro, di confronto e di celebrazione della creatività, un faro che illumina le sfide del nostro tempo e ci invita a guardare al futuro con speranza e coraggio.