venerdì, 20 Giugno 2025
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Frosinone, sparatoria allo Shake Bar: guerra di droga e sentenza

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La tragica sparatoria avvenuta il 9 marzo dello scorso anno allo Shake Bar di Frosinone, che costò la vita a Kasen Kasmi e provocò gravi ferite ai fratelli Ervin Kasmi e alla coppia di fratelli Klevi e Alvider Hidraliu, si rivela, secondo le motivazioni della sentenza di condanna a vent’anni di reclusione, essere il risultato di una feroce competizione per il dominio del traffico di stupefacenti nel territorio frusinate. La ricostruzione del giudice Antonello Bracaglia Morante demolisce le prime interpretazioni, che suggerivano un movente passionale, offrendo invece un quadro di intricati equilibri criminali e di una pianificazione premeditata.L’inchiesta, meticolosamente condotta, ha rivelato come le quattro vittime, tutte di nazionalità albanese, fossero state reclutate e inviate allo Shake Bar con l’obiettivo di perpetrare un’aggressione mirata nei confronti dell’imputato. Quest’ultimo, lungi dall’essere una vittima sorpresa, si era dimostrato ben consapevole del pericolo imminente, agendo di conseguenza e presentandosi armato. La dinamica degli eventi, così come emersa dalle indagini, confuta l’ipotesi di legittima difesa, configurando l’atto violento come un gesto preventivato, parte di una strategia più ampia volta a consolidare il controllo del mercato illecito.La sentenza solleva, inoltre, un allarmante campanello d’allarme riguardo alla presenza e all’influenza di organizzazioni criminali albanesi nel tessuto sociale di Frosinone. Le intercettazioni telefoniche effettuate in carcere hanno rivelato tentativi da parte dell’imputato di contattare figure di riferimento in Albania per ottenere protezione per i propri familiari, a testimonianza di una rete transnazionale che estende la sua influenza anche oltre i confini nazionali. Questo aspetto sottolinea la necessità di un’azione investigativa e di un coordinamento a livello internazionale per contrastare efficacemente il fenomeno.Il calcolo della pena, che si attesta sui vent’anni di reclusione, riflette l’entità della gravità dei reati commessi, che avrebbero potuto comportare una pena massima di trent’anni. La riduzione della pena è stata resa possibile dall’applicazione dello sconto previsto per chi sceglie il rito abbreviato, ma non diminuisce in alcun modo la gravità delle accuse né la necessità di una risposta rigorosa da parte del sistema giudiziario. L’intera documentazione, articolata in settantadue pagine di dettagliate motivazioni, offre un quadro complesso e inquietante di una realtà criminale radicata e organizzata, che rappresenta una seria minaccia per la sicurezza e la tranquillità della comunità frusinate. La sentenza, oltre a punire il responsabile, si pone come monito e spunto di riflessione sull’urgenza di contrastare con maggiore determinazione le infiltrazioni della criminalità organizzata e di rafforzare i legami di collaborazione tra le forze dell’ordine e le istituzioni a livello nazionale e internazionale.

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