La recente indagine dei Carabinieri dei Nuclei Anti Frodi Alimentari, con particolare riferimento alle produzioni agroalimentari veronesi e fiorentine, ha portato alla luce una vicenda che interroga profondamente l’affidabilità del sistema di certificazione biologico nel settore apistico italiano. Più che una semplice frode, si configura come un’aberrazione all’interno di una filiera che aspira, e in larga misura raggiunge, elevati standard qualitativi, gettando un’ombra sulla reputazione di un comparto produttivo di eccellenza. La Federazione Apicoltori Italiani (FAI) esprime la propria preoccupazione, sottolineando l’urgenza di una revisione critica dei meccanismi di controllo, soprattutto quando le certificazioni provengono da enti operanti all’estero.Tuttavia, è fondamentale inquadrare la questione all’interno del panorama attuale dell’apicoltura biologica in Italia. Sebbene il concetto di produzione biologica eserciti un forte appeal sui consumatori, la sua adozione da parte dei produttori rimane marginale. Solo una piccolissima percentuale, pari al 5,2% circa (4.144 apicoltori), si dedica all’apicoltura biologica, mentre la stragrande maggioranza (94,8%, corrispondenti a 72.540 apicoltori) segue metodi di produzione convenzionali.Questa disparità si riflette anche nella dimensione degli allevamenti: il 12,3% delle colonie di api registrate (249.535 alveari) sono classificate come biologiche, contro un notevolmente superiore 71,4% di allevamenti convenzionali (1.451.789 alveari). Una quota significativa, il 16,3%, non specifica la modalità di allevamento, suggerendo una certa ambiguità o una difficoltà nell’aderire a definizioni e processi di certificazione.La complessità e l’onerosità del processo di certificazione rappresentano una barriera significativa per molti apicoltori. L’elevato costo associato, unito alle procedure burocratiche, spesso scoraggia l’adozione del metodo biologico, nonostante la crescente domanda da parte dei consumatori.La recente vicenda del falso miele biologico rischia di esacerbare lo scetticismo già presente tra gli apicoltori, una sensazione condivisa dalla Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica (FederBio). La necessità di un marchio biologico italiano, riconosciuto e tutelato a livello nazionale, si fa quindi sempre più pressante. Tale marchio dovrebbe rappresentare una garanzia di autenticità e trasparenza, rassicurando i consumatori e valorizzando il lavoro dei produttori italiani.La FAI propone, in questo contesto, un’azione strategica composta da due elementi chiave: una campagna di sensibilizzazione rivolta agli apicoltori, mirata a illustrare i benefici dell’apicoltura biologica e a dissipare i timori legati ai costi e alla complessità della certificazione; e, parallelamente, una politica di alleggerimento degli oneri economici legati al processo di certificazione, incentivando l’ingresso di un numero maggiore di apicoltori nel circuito biologico e promuovendo, così, la sostenibilità e la crescita del settore. È tempo di agire per salvaguardare la credibilità del miele italiano e sostenere un’apicoltura biologica autentica e competitiva.