La 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si configura quest’anno come palcoscenico di una narrazione urgente, un monito cinematografico che interseca arte, impegno sociale e denuncia. In occasione del prestigioso Premio collaterale “Persona, lavoro, ambiente”, assegnato dalla Fai-Cisl, il cortometraggio animato “Il nome di Hope” farà la sua anteprima, rappresentando un’occasione significativa per riflettere sulle dinamiche del caporalato e le condizioni di vulnerabilità che affliggono i lavoratori migranti.Il Premio “Persona, Lavoro, Ambiente”, giunto alla sesta edizione, si distingue per la sua vocazione a premiare opere cinematografiche che affrontano tematiche cruciali per la sostenibilità ambientale, economica e sociale. La scelta di proiettare “Il nome di Hope” si inserisce in questa linea di impegno, consolidando una tradizione di sensibilizzazione che accompagna la Mostra da anni. Il cortometraggio, realizzato da un collettivo di giovani talenti provenienti da diversi ambiti creativi – cinema, musica, animazione – è il risultato di un progetto ambizioso che unisce competenze e passioni per dare voce a chi spesso non ce l’ha.La storia narrata in quindici minuti è quella di Hope, una giovane bracciante nigeriana strappata alla vita troppo prematuramente in un incendio avvenuto nel ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia. Un evento tragico che simboleggia le condizioni precarie e spesso disumane in cui versa una parte significativa della forza lavoro migrante. Il film non si limita a raccontare una vicenda personale, ma si propone come una denuncia potente e incisiva dei meccanismi del caporalato, delle dinamiche di sfruttamento e delle responsabilità che gravano su politica, imprese e istituzioni. L’obiettivo è quello di stimolare un’azione concreta per promuovere l’inclusione sociale e garantire condizioni di lavoro dignitose.La scelta di “Il nome di Hope” si inserisce in un percorso cinematografico ben definito, inaugurato negli anni passati con opere altrettanto significative. Nel 2020, “Siamo qui da vent’anni” di Sandro Bozzolo ha raccontato le storie di migranti impiegati nel settore agroalimentare della provincia di Cuneo, offrendo uno sguardo approfondito sulle loro vite e sulle loro sfide. L’anno successivo, “Epos et Labor, ovvero Sei delegato!” di Alessio Nardin ha affrontato il tema della rappresentanza e della partecipazione dei lavoratori. Nel 2022, “Centootto” ha documentato l’angosciante sequestro di 18 pescatori siciliani in Libia, evidenziando le violazioni dei diritti umani e le conseguenze drammatiche della migrazione irregolare. “Scusa Italia”, nel 2023, ha sviscerato le complesse problematiche del caporalato e del riscatto sociale attraverso cinque episodi toccanti. Infine, il docufilm “L’intervista in mare” ha portato alla luce le difficili condizioni di lavoro a bordo dei pescherecci italiani. L’eredità di queste opere, e ora di “Il nome di Hope”, contribuisce a creare un archivio cinematografico prezioso, uno strumento di memoria collettiva e di sensibilizzazione che sollecita la riflessione e l’azione, affinché la Mostra di Venezia continui a essere non solo un evento culturale di grande prestigio, ma anche un motore di cambiamento sociale.