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venerdì 5 Dicembre 2025

Grano sardo: crisi, filiere e futuro tra tradizione e innovazione.

Il panorama cerealicolo sardo, oggi concentrato quasi esclusivamente nelle pianure centro-meridionali, si presenta come un mosaico complesso, frutto di trasformazioni profonde che hanno ridefinito il suo ruolo nel contesto agroalimentare regionale.

Lontano dalle precedenti dinamiche zootecniche, il grano duro – pilastro imprescindibile per la produzione di pane e pasta – rappresenta ancora il cuore pulsante di questo settore, sebbene la sua superficie coltivata abbia subito una contrazione significativa.
L’evoluzione recente è inestricabilmente legata alle riforme europee dell’inizio del nuovo millennio, che, con l’intento di promuovere la sostenibilità e la diversificazione delle colture, hanno incentivato la rotazione delle coltivazioni e l’introduzione di leguminose.
Questo approccio, mirato a spezzare la monocoltura intensiva, ha comportato una riduzione drastica delle aree dedicate al grano.

I premi comunitari, riconcettualizzati per premiare pratiche agricole più virtuose, hanno contribuito a questo cambiamento, seppur con risultati a volte controversi.

Sebbene si sia tentato di compensare la diminuzione con l’introduzione di leguminose, l’impatto complessivo ha portato a una contrazione delle superfici coltivate a grano duro: dai considerevoli 97.108 ettari del 2003 si è passati a un parco seminativo di soli 28.475 ettari nel 2025, con oscillazioni che non hanno mai superato i 30.000 ettari dal 2017 ad oggi.

Questa contrazione è ulteriormente aggravata da una problematica di sostenibilità economica, come testimoniato dalle forti fluttuazioni dei prezzi.
La differenza tra i prezzi offerti ai produttori che aderiscono a filiere specifiche (tra i 28 e 30 euro al quintale) e quelli riservati a chi opera al di fuori (26 euro) crea una disparità che mina la competitività delle aziende agricole e la qualità della produzione.
Un costo marginale insufficiente per coprire le spese di lavorazione, semina e raccolta spinge molti cerealicoltori a considerare alternative colturali o, nel peggiore dei casi, ad abbandonare l’attività.

Per invertire questa tendenza, è imperativo un approccio duale.
Innanzitutto, una valorizzazione economica delle filiere che promuovono la produzione di grano sardo di alta qualità, destinato alla creazione di prodotti tipici come il pane Carasau, un vero simbolo dell’eccellenza agroalimentare locale, e della pasta, un elemento distintivo del patrimonio gastronomico sardo.

Questa valorizzazione deve andare oltre la mera certificazione, abbracciando strategie di marketing e comunicazione che ne esaltino le caratteristiche uniche.
In secondo luogo, è necessario affrontare la questione della concorrenza sleale proveniente da grano straniero, spesso prodotto con standard agro-sanitari inferiori e soggetto a meccanismi di finanziarizzazione che ne distorcono i prezzi.

L’apertura dei mercati globali, sebbene vantaggiosa in linea di massima, richiede misure di salvaguardia per proteggere la produzione locale e garantire la sostenibilità del settore cerealicolo sardo, preservando un patrimonio agricolo e culturale di inestimabile valore.
La ricerca di nuove varietà resistenti e la promozione di pratiche agricole innovative e sostenibili rappresentano ulteriori leve per rilanciare il comparto cerealicolo sardo e garantire il suo futuro.

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