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martedì 9 Settembre 2025

Sciacca: tra pesca che cambia e il sapore antico dell’acciuga

A Sciacca, un tempo fulcro della pesca agrigentina e rinomata per la lavorazione di corallo, si respira oggi un’aria di transizione. L’immagine dei pescherecci ormeggiati, più che in navigazione, è emblematica di una realtà che si confronta con la rarefazione delle risorse ittiche. Tuttavia, i vicoli della città vibrano ancora di attività: botteghe artigiane espongono manufatti di corallo, con le sue peculiari sfumature scure che rimandano all’isolotto vulcanico sommerso, e conserverie traboccanti di tesori gastronomici. Proprio la tradizione conserviera è al centro della dodicesima edizione di Azzurro Food Festival, un evento sotto l’egida del Ministero dell’Agricoltura che celebra il pesce azzurro e la sua importanza per il patrimonio alimentare italiano.Baldo Scalia, erede della storica conserveria Scalia, fondata dal padre Benedetto, descrive un cambiamento radicale. “Quindici anni fa, il quaranta per cento delle acciughe del Mediterraneo proveniva da queste acque,” racconta. “Oggi, siamo scesi al dieci-quindici percento. La sfida è individuare il prodotto migliore, ovunque nel bacino, dalla costa siciliana alle coste nordafricane, alla Croazia e all’Albania.” La scelta dell’azienda è chiara: un’acciuga esclusivamente mediterranea, in netta contrapposizione alle varietà provenienti dall’Atlantico e dal Pacifico, per affermare un’identità artigianale e di qualità.Il processo produttivo è un rituale che unisce tradizione e innovazione. L’acciuga fresca, lavorata a mano solo quando lo permette la sua stessa freschezza, viene decapitata ed eviscerata con cura. La salagione avviene con sale marino finissimo di Trapani, un ingrediente fondamentale per esaltare il sapore unico del prodotto. La stagionatura, un passaggio essenziale per lo sviluppo di aromi complessi, dura dai sei mesi a un anno. Ogni anno, l’azienda trasforma circa due milioni di acciughe fresche, con una resa produttiva che si traduce in filetti pregiati, pasta sott’olio, e la preziosa colatura di alici, ottenuta per filtrazione a goccia.La colatura, in particolare, rappresenta l’apice dell’eccellenza, un liquido ambrato dal sapore intenso e profondo, vero e proprio nettare gastronomico. Il prodotto, rigorosamente “Made in Italy” per quanto riguarda il confezionamento, ha conquistato palati raffinati in tutto il mondo, trovando il suo mercato principale in Giappone, un paese particolarmente sensibile alla qualità e all’autenticità dei prodotti alimentari. Gli Stati Uniti, grazie a una strategia di prezzi stabili nonostante i dazi, mostrano una crescita significativa, mentre il Canada e le insegne di alta ristorazione, da Armani a Osteria Gucci, fino al re della pizza, Francesco Martucci, apprezzano l’unicità delle alici Scalia.Il fatturato aziendale, trainato da questa crescente domanda internazionale, è in costante ascesa, raggiungendo i 10 milioni di euro nel 2024, con l’ambizioso obiettivo di superare i 10 milioni nel 2025. Tuttavia, l’azienda si confronta con sfide cruciali: la carenza di manodopera specializzata, essenziale per la lavorazione artigianale, e la diminuzione della disponibilità di materia prima locale. “Non facciamo più la filettatura a mano a causa della mancanza di personale,” ammette Scalia. “Cerchiamo di formare giovani, ma è difficile.” L’azienda, inclusiva e attenta alle dinamiche sociali, impiega 40 dipendenti, molti dei quali sono rifugiati provenienti da zone di guerra.La vera preoccupazione, tuttavia, riguarda la tutela della biodiversità marina. “Abbiamo bisogno di un fermo pesca importante, uno o due anni,” sottolinea Scalia, guardando all’esempio virtuoso del sistema alici del Cantabrico, dove lunghi periodi di stop alla pesca e quote di cattura ben definite hanno permesso il recupero delle risorse ittiche. La sostenibilità, in definitiva, non è solo una questione etica, ma una condizione imprescindibile per la sopravvivenza stessa di un’eccellenza gastronomica come l’acciuga di Sciacca.

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