L’annata agraria 2024-2025 si prospetta particolarmente favorevole per la produzione nazionale di grano duro, con stime che superano le 4,2 milioni di tonnellate. Questo dato, un incremento significativo rispetto al 2024 (+20%) e superiore del 12% rispetto alla media quinquennale, riflette una dinamica complessa di fattori agronomici, economici e geopolitici. La crescita produttiva è il risultato congiunto di un’espansione delle superfici coltivate, attestata in crescita del 9,5% secondo i rilevamenti Istat, e di condizioni meteorologiche eccezionalmente propizie in regioni strategiche come Sicilia, Basilicata e una porzione della Puglia.I Durum Days 2025, evento di riferimento per il settore organizzato da un ampio consorzio di associazioni agricole (Assosementi, Cia, Confagricoltura, Copagri, Fedagripesca Confcooperative, Compag, Italmopa, Unione Italiana Food) con il supporto tecnico di Crea e Areté e il patrocinio della SIGA, hanno fornito un’analisi dettagliata di questa situazione. Le previsioni, supportate da un’approfondita valutazione del Crea, evidenziano come le avverse condizioni iniziali, caratterizzate da ritardi nelle semine nel Centro-Nord dovuti alle piogge abbondanti e, al Sud, per la carenza di precipitazioni a novembre, siano state mitigate da un inverno mite che ha accelerato lo sviluppo delle piante.Nonostante questo scenario positivo, persistono incertezze. Il futuro andamento climatico rappresenta un fattore critico: eventi meteorologici estremi, come piogge intense o periodi di eccessiva umidità, potrebbero compromettere la sanità delle piante e, di conseguenza, la resa finale. La resilienza delle colture sarà quindi messa a prova nelle prossime settimane.Il contesto internazionale, analizzato da Areté, presenta una narrazione più sfumata. A seguito dell’incremento registrato l’anno precedente, le produzioni globali di grano duro mostrano una tendenza al ribasso. Calo significativo in Canada (-7%), Stati Uniti (-9%) e Messico (-78%) non vengono compensati dalle maggiori produzioni attese nei Paesi importatori, in particolare nell’Unione Europea (+10%) e nel Nord Africa (+15%). Questo scenario europeo, seppur promettente per il mercato interno, crea un delicato equilibrio. La maggiore disponibilità europea limita l’impatto diretto sui prezzi italiani, ma la contrazione della produzione nei principali paesi esportatori, unitamente a scorte globali ancora contenute, rendono il mercato vulnerabile a fluttuazioni rialziste in caso di risultati inferiori alle aspettative nei Paesi importatori. La stabilità dei prezzi dipenderà quindi dalla capacità del sistema agroalimentare europeo di rispondere alle esigenze del mercato mondiale, mitigando i rischi connessi alla volatilità geopolitica e climatica.