Maiella, un cuore antico rinasce: vitigni autoctoni e resilienza.

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Il cuore pulsante dell’Abruzzo orientale, e in particolare la Maiella, sta rinascendo attraverso un’iniziativa coraggiosa e profondamente radicata nella sua storia: il recupero e la valorizzazione di vitigni autoctoni, custodi di un’eredità culturale e paesaggistica inestimabile. Lungi dall’essere una semplice operazione agricola, questo progetto si configura come un vero e proprio atto di resilienza, un tentativo di riconnettere le comunità locali alle loro radici, preservando al contempo la straordinaria biodiversità che caratterizza questo angolo di mondo.Al centro di questa visione si trovano vitigni quasi dimenticati, come la Ghiuppitte de Mundeneire di Montenerodomo, la Middialonghe di Lama dei Peligni e Civitella Messer Raimondo, e l’Uva Dellacea di Altino. Questi nomi, per molti sconosciuti, rappresentano molto più di una varietà di uva: sono simboli di una civiltà contadina, di un sapere tramandato di generazione in generazione, di un legame profondo con la terra che ha plasmato la cultura e il paesaggio della Maiella. La Bio Cantina Sociale Orsogna, con i suoi 300 soci operativi su 1.500 ettari di vigneto, si pone come motore trainante di questo processo, adottando pratiche di viticoltura biologica e biodinamica che rispettano l’ambiente e ne esaltano le potenzialità.L’accordo tra la cantina, il Parco Nazionale della Maiella e i Comuni coinvolti non è un evento isolato, ma parte di un piano più ampio, “Pe’ nin perde la sumente”, ideato in collaborazione con la Banca del Germoplasma. Questo progetto ambizioso si focalizza sulla conservazione della biodiversità naturale, agricola e culturale, riconoscendo che la sopravvivenza di un ecosistema dipende dalla salvaguardia della sua diversità genetica. L’iniziativa include anche un’innovativa collaborazione per l’affinamento di vini in un luogo suggestivo e ricco di storia: la Grotta del Cavallone, lungo la Valle di Taranta. Questo ambiente unico, elevato a luogo letterario per aver ispirato D’Annunzio nella sua “Figlia di Iorio”, si rivela una perfetta simbiosi tra natura, cultura e tradizione.L’importanza di questo progetto risiede non solo nella salvaguardia di varietà vegetali uniche, ma anche nella rivitalizzazione di aree marginali, spesso a rischio di spopolamento. Come sottolineato dal direttore del Parco Nazionale della Maiella, Luciano Di Martino, il recupero di terreni incolti e la promozione di attività agrosilvopastorali sostenibili rappresentano un fattore cruciale per contrastare il declino demografico e favorire lo sviluppo locale. Questa visione si allinea perfettamente con la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI), che mira a sostenere le aree più remote e marginali del Paese.L’etnobotanico Aurelio Manzi, presente all’evento, testimonia come questi vitigni non siano solo risorse agrarie, ma veri e propri archivi viventi, portatori di un sapere tradizionale che rischia di andare perduto. La loro riscoperta e valorizzazione rappresentano un atto di responsabilità verso le generazioni future, un impegno a preservare un patrimonio culturale che ci rende unici. Questo progetto, quindi, non è solo un’operazione di recupero di antichi vitigni, ma un vero e proprio investimento nel futuro dell’Abruzzo orientale, un invito a riscoprire il valore della lentezza, del rispetto per la terra e della connessione con le proprie radici.

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