Dazi USA: rischio per i vini abruzzesi e l’agroalimentare italiano

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L’importanza strategica del mercato statunitense per il settore agroalimentare italiano, e in particolare per i vini abruzzesi, si è recentemente trovata a fronteggiare un’onda di incertezza con l’imposizione di dazi da parte dell’amministrazione Trump. Pur attenuati rispetto alle iniziali proposte, questi dazi – attestati al 15% – rappresentano una potenziale criticità per un’economia profondamente interconnessa con il sistema commerciale americano. La speranza risiede in una possibile esclusione dei prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e Indicazione Geografica Protetta (IGP) dall’applicazione di tali tariffe, una condizione che alleggerirebbe sensibilmente l’impatto negativo.Gli Stati Uniti, con una quota preponderante del 18% delle esportazioni totali, si confermano il principale sbocco commerciale per i vini abruzzesi. Il Montepulciano d’Abruzzo, in particolare, occupa una posizione di rilievo nel segmento “popular”, caratterizzato da un prezzo accessibile, generalmente compreso tra i 15 e i 20 dollari a bottiglia, rendendolo estremamente competitivo e apprezzato dal consumatore americano.Il presidente del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, Alessandro Nicodemi, sottolinea l’irripetibilità di questo mercato, evidenziando l’impossibilità di compensare una perdita di tale portata attraverso la diversificazione verso mercati emergenti, pur dimostrando crescente interesse. La sostituibilità è un concetto erroneo, poiché il mercato statunitense assorbe una percentuale significativa della produzione agroalimentare italiana, un dato che trascende la mera questione enologica.L’incidenza del 40% della produzione agroalimentare italiana destinata agli Stati Uniti è il risultato di una complessa dinamica storica e culturale. Fin dal secondo dopoguerra, la presenza di una significativa comunità italo-americana, che gestisce circa il 50% del settore della ristorazione americano, ha creato un canale privilegiato per l’introduzione e la valorizzazione dei prodotti italiani, costruendo una solida base di consumatori affezionati. Questo legame profondo rende impraticabile una manovra di reindirizzamento su larga scala: per trasferire il 40% della produzione agroalimentare verso altri mercati, sarebbero necessari decenni, un lasso di tempo inaccettabile per un settore caratterizzato da cicli di produzione relativamente brevi. Il problema, dunque, non è circoscritto al vino, ma investe l’intero comparto agroalimentare italiano e mette a rischio un modello di sviluppo basato sull’integrazione con l’economia americana. La questione richiede un’analisi approfondita e una risposta strategica, mirata a preservare un asset cruciale per l’economia nazionale.

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