Un salume antico nato dalla cucina del recupero: tra frattaglie, spezie e tradizioni contadine che resistono al tempo.
Nell’angolo più autentico dell’Umbria, dove le colline si intrecciano con la Toscana e le Marche, sopravvive un insaccato che racconta storie di maiali allevati in casa, norcini esperti e cucine in cui nulla veniva sprecato. Si chiama mazzafegato, e il nome – che evoca il fegato, uno dei suoi ingredienti principali – dice già molto della sua natura intensa e poco incline ai compromessi. Questo salume è l’ultimo a essere preparato durante la lavorazione del maiale. È il prodotto di ciò che resta dopo la produzione di prosciutti, salami e salsicce: un mix di carni minori, ritagli e frattaglie come cuore, polmone, milza e, naturalmente, fegato, in proporzione di circa 3 a 1 rispetto alla carne magra.
Una pratica nata nei casolari dell’Alta Valle del Tevere, ma diffusa anche nelle zone di Gubbio, Spoleto, Orvieto e Gualdo Tadino, dove la “norcineria” è arte tramandata da generazioni. Il mazzafegato è un emblema della cucina del recupero, una ricetta che affonda le sue radici nel Medioevo e oggi rischia di scomparire sotto il peso della modernità alimentare.
Come si presenta e come si gusta
A prima vista, si distingue per il suo colore scuro e la consistenza compatta. Al palato, però, sprigiona tutto il suo carattere: un gusto profondo, persistente, che cambia leggermente da zona a zona, a seconda degli aromi e del tempo di stagionatura.
Esistono due principali versioni:
- Dolce: con aggiunta di zucchero, uvetta, scorze d’arancia e pinoli, accanto a sale e pepe.
- Salata: più essenziale, con sale, pepe, finocchietto selvatico e pinoli.
Il composto viene insaccato in budelli naturali e legato a mano, in pezzature piccole, poi lasciato ad asciugare per circa una settimana. La versione dolce si consuma anche fresca, mentre quella salata richiede almeno due mesi di stagionatura.
Varianti regionali e abbinamenti
Nel tempo, il mazzafegato ha sviluppato declinazioni locali:
- Nelle Marche, è noto come salsiccia matta e tende verso la versione dolce.
- In Toscana, lo si trova come sanbudello, talvolta aromatizzato con vino caldo.
Solitamente si cuoce alla griglia o alla brace, ma può essere gustato anche crudo, se ben stagionato. In tavola si abbina perfettamente con verdure cotte, purè di patate, legumi rustici e pane casereccio, magari leggermente tostato.
Un sapore che rischia l’oblio
Con la trasformazione delle abitudini alimentari e la diminuzione delle macellazioni familiari, la produzione del mazzafegato si è drasticamente ridotta. Oggi sopravvive grazie all’impegno di pochi artigiani e produttori locali che continuano a custodire questa ricetta con orgoglio e passione. Salvaguardare il mazzafegato significa non solo mantenere viva una tradizione, ma difendere un modo di vivere e di cucinare che ha segnato la storia delle comunità dell’Appennino centrale.