La crescente popolarità del vino utilizzato per la celebrazione dell’Eucaristia in Kenya ha innescato un’inattesa svolta nell’ambito della Chiesa cattolica locale.
La diffusione incontrollata del vino sacramentale, divenuto un prodotto facilmente reperibile in bar e supermercati, aveva progressivamente eroso la sua aura di sacralità, sollevando preoccupazioni tra i fedeli.
Per contrastare questa tendenza e riaffermare la sua destinazione d’uso esclusiva, la Conferenza Episcopale Cattolica del Kenya (Kccb) ha introdotto un nuovo marchio, denominato “Mass Wine”.
Questo vino, debitamente approvato e certificato da un sigillo ufficiale che ne attesta l’autenticità e il controllo diretto da parte della Kccb, rappresenta una misura volta a preservare l’integrità del rito eucaristico.
Contrariamente alla precedente etichetta, “Mass Wine” non è commercializzato né disponibile per l’acquisto al dettaglio; la sua proprietà e la sua distribuzione sono interamente gestite dalla Kccb, che lo mette a disposizione delle singole diocesi.
L’arcivescovo di Nyeri, Monsignor Anthony Muheria, ha esplicitamente dichiarato alla BBC che l’iniziativa mira a ristabilire il rispetto e la sacralità del vino utilizzato durante la celebrazione della Messa.
L’accoglienza da parte della comunità cattolica è stata generalmente positiva.
I fedeli hanno espresso sollievo per l’intervento della Chiesa, percependo la nuova etichetta come un segnale di rinnovata attenzione alla purezza del rito e alla sua separazione dal consumo profano.
Questa vicenda si inserisce in un contesto demografico significativo: la popolazione keniana, stimata in circa 50 milioni di persone, si identifica prevalentemente come cristiana (oltre l’80%), con circa 10 milioni di cattolici che costituiscono una componente rilevante.
Il panorama religioso keniota è tuttavia variegato, comprendendo una vasta gamma di denominazioni cristiane evangeliche, la Chiesa Anglicana del Kenya e la Chiesa Presbiteriana, ciascuna con le proprie tradizioni e pratiche.
L’episodio del “Mass Wine” evidenzia la complessità del rapporto tra fede, cultura e mercato in un paese dove la religione cristiana permea profondamente la vita sociale ed economica, sollevando interrogativi sulla necessità di salvaguardare la sacralità delle pratiche religiose in un’era di crescente globalizzazione e commercializzazione.
La scelta della Kccb riflette un tentativo di ridefinire il significato e la fruizione di un elemento fondamentale della fede cattolica, proteggendolo da un uso improprio e ristabilendo la sua intima connessione con il sacramento dell’Eucaristia.



