Dall’Iran alle terre martoriate dell’Ucraina, una sinfonia silenziosa di passione e resilienza si eleva attraverso le bottiglie del progetto “Wine of Silence”.
Un’iniziativa audace, promossa dall’enologo Roberto Cipresso, che celebra la viticoltura in territori segnati da conflitti, un’ode alla tenacia umana distillata in nettare.
L’evento, riconosciuto dalla Bibenda 2026 alla presenza del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ha sancito il secondo premio Oscar del Vino Bibenda per Cipresso, a vent’anni dal primo, coronando una carriera di quarant’anni tra vigneti e cantine sparse nel mondo.
Cipresso, riflettendo sulla propria evoluzione professionale, ha espresso un profondo desiderio di restituire al mondo ciò che ha ricevuto dalla terra, dal vino e dalle persone che lo hanno accompagnato.
“Wine of Silence” nasce come risposta a un’epoca in cui il vino, spesso ridotto a mero trend o a contrapposizione tra approcci “naturali” e “tecnologici”, rischia di perdere la sua essenza più profonda.
Un vino che non è solo bevanda, ma portavoce di bellezza, affermazione di identità culturale, testimonianza di fatica e resilienza.
L’Ucraina, con la sua secolare tradizione vitivinicola, particolarmente evidente nella regione di Shabo, Odessa, incarna questo spirito.
Nonostante le avversità belliche, la viticoltura locale persiste, producendo vini che esprimono carattere e identità.
Il Telti Kuruk di Big Wines ne è un esempio emblematico, un vessillo di speranza e cultura che fiorisce anche sotto l’ombra della guerra.
L’Armenia, culla della viticoltura con una storia di oltre 6000 anni (testimoniata dall’antica cantina Areni-1), affronta sfide complesse: tensioni regionali e barriere logistiche che rendono costosa e difficoltosa la produzione.
Eppure, la cantina Keush, con il suo Arenì Noir, rappresenta l’anima di una viticoltura eroica, coltivata con passione e dedizione.
L’avventura più audace, rivelata agli oltre mille duecento partecipanti all’evento della Fondazione Italiana Sommelier, riguarda la produzione del vino persiano.
Le restrizioni imposte in Iran hanno costretto il team a operare in modalità clandestine, mascherandosi da commercianti di frutta per trasportare i grappoli in Azerbaigian e Armenia, dove è stato possibile avviare il processo di vinificazione.
“Wine of Silence” non è solo un progetto enologico, ma un atto di coraggio, una dichiarazione di fede nella capacità umana di trovare bellezza e speranza anche nei luoghi più difficili.
È un tributo alla resilienza, un inno alla cultura, un messaggio universale che si diffonde attraverso il profumo e il sapore di ogni singola bottiglia.
Un’eredità preziosa da custodire e condividere, un legame tangibile tra terra, tradizione e futuro.



