Dalle cucine spartane dei bistrot di periferia ai ristoranti stellati degli hotel di lusso: ecco i cuochi italiani che hanno trasformato la scena gastronomica della Ville Lumière.
All’inizio degli anni Duemila, una ventata di novità ha attraversato Parigi, portando con sé un piccolo esercito di giovani cuochi italiani. Il fenomeno prendeva il nome di bistronomia: una cucina d’autore proposta in contesti informali, con pochi coperti, budget ridotti e un’energia creativa senza precedenti. Niente menu lunghi, niente formalismi da ristorante stellato, solo piatti sorprendenti, realizzati con ingredienti stagionali e un approccio istintivo, libero, anticonvenzionale. I ristoranti spesso erano spartani, fuori dalle rotte turistiche, ma vibravano di una vitalità contagiosa. I piatti nascevano dalle regole infrante e dalla materia prima del giorno. Si cucinava come si suonava: a braccio, con ritmo e coraggio. La musica arrivava direttamente dallo stereo o dal sibilo delle padelle in azione. Ed è proprio in quel fermento che i cuochi italiani hanno cominciato a emergere, diventando protagonisti di una rivoluzione gastronomica silenziosa e duratura.
Da outsider a protagonisti: gli chef italiani che hanno fatto la storia
Tra i primi a lasciare il segno c’erano Giovanni Passerini, Simone Tondo, Michele Farnesi. Con loro, anche figure come Denny Imbroisi, Gennaro Nasti e una rete di cuochi e pizzaioli che hanno dato nuova vita alla ristorazione parigina. Passerini ricorda quegli anni come un’epoca di vera collettività: “All’inizio, essere italiani significava condividere una visione comune, fuori dagli stereotipi, con coraggio e libertà”. Oggi quella coesione si è frammentata, ma ha lasciato spazio a percorsi più personali e maturi. Simone Tondo, oggi al timone di Racines, racconta: “A un certo punto ho capito che non volevo più fare il soldato in cucina. Ho scelto l’autonomia, anche a costo di rischiare tutto”. E da quel momento la cucina italiana ha iniziato a contaminarsi con elementi francesi, giapponesi, scandinavi, pur restando fedele alla sua anima.


Il ruolo della critica e il cambiamento del sistema
Il movimento è esploso anche grazie al sostegno di riviste e critici visionari come Le Fooding e Omnivore, che hanno saputo raccontare il fermento con uno sguardo nuovo, proprio come fecero Gault & Millau con la Nouvelle Cuisine. Tuttavia, oggi qualcosa è cambiato. Secondo Farnesi, “la spontaneità si è affievolita, la critica si è un po’ svuotata, e i social hanno trasformato tutto in spettacolo”. L’energia di un tempo si è dispersa, mentre molti chef puntano ora a ottenere una stella piuttosto che a esprimere una visione autentica.


Da pionieri a modelli: la nuova generazione di cuochi italiani a Parigi
Oggi gli chef italiani a Parigi si sono moltiplicati e diversificati. C’è chi ha scelto l’indipendenza, come Fabrizio Ferrara con Osteria Ferrara, e chi si è inserito nei contesti più prestigiosi: Davide Capucchio per Niko Romito al Bvlgari Hotel, Alessandra Del Favero e Oliver Piras al Royal Monceau per i fratelli Cerea, Martino Ruggieri con la sua Maison, Giuliano Sperandio al leggendario Le Taillevent. Ci sono poi nuovi nomi promettenti come Aurora Storari e Flavio Lucherini a Hémicycle, Eugenio Anfuso e Cecilia Spurio da Amâlia, Francesco Garzone da Caïus, e il duo Francesca Feniello e Silvia Giorgione con il ristorantino Tempilenti e la bottega Intervallo. Anche il format del bistrot si è evoluto: da cucina di rottura si è fatto più quotidiano, più sostenibile, attento ai costi e all’accessibilità. “Oggi non serve stupire, ma nutrire bene, con cura e sincerità”, dice Tondo.

Eredità e futuro: cosa resta della bistronomia?
Molti ritengono che la stagione della bistronomia come movimento sia ormai alle spalle, ma il suo spirito vive ancora in tante esperienze quotidiane: nella libertà di sperimentare, nella riduzione delle gerarchie in cucina, nella centralità della materia prima. “La mia generazione non cercava stelle Michelin, cercava espressione”, dice Farnesi. E oggi, nonostante le trasformazioni del sistema, l’impronta lasciata da quegli italiani pionieri è ancora visibile in ogni arrondissement di Parigi. Non sono più un gruppo, ma una costellazione di storie diverse. Ognuna con la sua luce.